Tratto da: Jean Giono, Lettera ai contadini sulla povertà e sulla pace (1938)
Mio padre era un artigiano calzolaio. Sapeva fare un paio di scarpe partendo dal rotolo di cuoio fino ad arrivare alle stringhe. […]
Preparava da solo tutti i pezzi della scarpa e utilizzava tutti i materiali adatti a fabbricarla: cuoio, filo, pece, setole, cera, chiodi; si serviva di tutti gli attrezzi nella loro diversità.
Era l’assoluto padrone della sua vita, come un uomo degno di questo nome deve essere. Eppure vedete che mestiere umile!
Quando la città dove lavorava non gli piaceva più, se ne andava. Quando il paese dove arrivava gli piaceva, ci restava.
Voleva leggere: comperava libri. Voleva ascolate musica, la ascoltava.[…]
Se voleva mandare al diavolo il suo padrone… lo mandava al diavolo; e per farlo non aveva bisogno nè del sindacato, nè di riunirsi con diecimila operai; glielo diceva in faccia, da uomo a uomo.
Cosa doveva temere? Aveva un mestiere; era capace e sicuro di mangiare e vivere ovunque.
Dal punto di vista della cultura generale, era mille volte più colto di tutte le case della cultura.
Non lo vidi mai umiliarsi davanti a nessuno. Per tutta la vita fece quel che volle, finché arrivo la guerra.
L’artigiano calzolaio ora è diventato un operaio calzolaio. Lavora da Bata.
Sa cucire un rinforzo. Mio padre ci metteva due ore per cucire un rinforzo. L’operaio di Bata ci mette appena mezz’ora. E’ più abile di mio padre, ma sa fare soltanto questo.
Non sa fabbricare una scarpa intera. […] Sfortunatamente per lui, nessuno al mondo ha bisogno di un rinforzo; si ha bisogno di scarpe finite.
L’operaio non può lasciare la sua sedia da Bata. Se se ne andasse, non potrebbe vivere. Non ha più un mestiere che gli dia da vivere ovunque.
E’ costretto a rimanere lì. E’ prigioniero e la sua faimiglia è prigioniera. […]
[L’artigiano] ha perduto la libertà. Il denaro lo ha assoggettato. Gli sono rimaste due cose da fare: diventare di Bata il gran padrone, e lo chiamerà successo, oppure diventare l’operaio di Bata, e lo chiamerà fallimento.
Dall’uno e dall’altro lato, avrà perduto le sue autentiche ragioni di vita.
C’era una volta ….
Il calzolaio, una volta, confezionava per lo più le scarpe nella sua bottega artigiana o a domicilio. Ma, talvolta, per farle nuove e soprattutto quando doveva ripararle, si recava a lavorare presso le famiglie contadine. Come ricompensa, in questo caso, non riceveva dei soldi ma vitto e alloggio. Rimaneva nella casa del contadino finchè non aveva terminato il lavoro e, siccome le famiglie, una volta, erano numerose, spesso si tratteneva anche una settimana e dormiva nella stalla, talvolta quando il calzolaio faceva le scarpe nuove, veniva pagato dai contadini in grano, olio…… in quantità proporzionale al costo delle scarpe che a quei tempi si aggirava sulle 500 o 1000 lire. Il lavoro veniva eseguito tutto a mano dall’inizio alla fine. Gli attrezzi usati erano il trincetto per tagliare il pellame, l’incudine, il martello e la lesina per le cinture. Per unire, attaccare le varie parti si usavano soprattutto i chiodi. La colla di pesce si utilizzava per la tomaia, tra la pelle e la fodera. Per lucidare e rifinire le scarpe si adoperavano la lima, la carta vetrata e il vetro. Il tipo di pelle più usato era l’anfibio (parte più spessa dell’animale). Talora il capretto, il vitello. Non si facevano scarpe di lusso, ma per lo più da lavoro. La lavorazione era lunga e faticosa. Per fare un paio di scarpe occorrevano tre o quattro giorni.